Fabienne Di Girolamo. Per Aspera ad Astra
La pittura in Fabienne di Girolamo è una passione che nasce precoce. La sua arte si esprime attraverso un linguaggio figurativo, come tale fuori dal contemporaneo, muovendo da sé sulle tracce dell’insegnamento dei grandi maestri. Lontano dalla logica di mercato, essa percorre le strade del gusto tradizionale, eludendo la semplicistica classificazione formale.
La primitiva passione per l’Ottocento si intuisce, evolve in Fabienne Di Girolamo dal godibile impressionismo in opere che omaggiano la pittura francese e di quella sfiorano i temi: la natura, la luce. Con quella condividono la necessaria osservazione del mondo esteriore, come istantanee ridotte in pittura. Così sembra iniziare il proprio percorso l’artista, lasciandosi andare a temi classici, come il mare o il frangersi delle onde sulla spiaggia in pennellate dense di materia pittorica e ancora cariche di icasticità. Ora i tocchi di colore diventano sintetica rievocazione della chioma di un albero (Campo di mandorli, 2008), ora definiscono il controluce di una baia (Baia di Estoril, 2008). Non c’è disegno. Secondo la rigorosa lezione impressionista, la pennellata distribuisce generosa colore tinto di luce. In questa prima fase del lavoro dell’artista si conservano in nuce già gli elementi di una futura pittura innamorata del colore, della contrapposizione cromatica, della simmetria, in un processo destinato a lasciarsi alle spalle il mero dato sensoriale, a favore del risparmio di forma e linguaggio.
Non a caso la ricerca procederà dall’iniziale naturalismo sulle tracce di un ideismo che riduce i dati, trasformandoli in icone. Inseguendo questo percorso l’arte di Fabienne Di Girolamo si accosta all’esperienza condotta dai grandi maestri, come Gauguin, di cui declina la lezione in un personale espressionismo e neo-cloisonnisme. Il grande maestro aveva programmaticamente rinchiuso la superficie con bordi dal colore scuro, conferendo a linea e colore autonomia dalla realtà. Egli dichiarava infatti che nei propri quadri l’immaginazione era stimolata «attraverso la misteriosa affinità che esiste tra certe combinazioni di linee e colori e la nostra mente». In Fabienne il colore è dunque diventato snodo cruciale del processo creativo. Disintegrando nel suo nome la forma in una miriade di tessere, esso scompone, analizza, segmenta e rinnega la dimensione, portando sul solo piano l’inevitabile scontro con il limite scuro del bordo. Tutto è infatti racchiuso dalla linea di contorno: essa divide, spezzetta e decide, obbliga a fermare lo sguardo, come in un mosaico dove si insegua la logica di ogni singola tessera a formare un tutto.
Le opere del periodo intermedio riprendono i temi del primo, ma li analizzano con un lessico espressivo che è omaggio a Cézanne ma anche al valore psicologico del colore di Van Gogh. Ispirandosi ai grandi, anche l’artista scompone l’elemento naturale, per mettere in luce la struttura essenziale dell’immagine dipinta, costruendo ritagli di colore potenziati nella propria costruttività plastica dal processo di parcellizzazione. La linea, protagonista, evidenzia la bidimensionalità e sbarra la strada al volume, senza tuttavia arginare la forza di uno spazio simmetricamente individuato e precisamente campito. Una tecnica che prevede metodo ed ordine, ma anche un ridimensionamento esterno che insegue attivamente la forma, segno di un carattere vitale e dirompente, delimitato, compresso ma mai arginato dalle convenzioni. E’ voglia di vivere: il contorno è ora morbido e sinuoso a seguire il limite della figura e disegnare il cielo animato dal vento, ora rigido e petroso a delimitare il terreno, ora ondulato nei campi di grano. Sempre con pennellate lunghe, regolari, calme e sicure a colmare gli spazi sottratti al bianco. Niente sfugge alla scomposizione, espressione ed insieme viatico alla sintesi di significato e forma. Come accade in La Bugia (2009) che è espressione in viola e grigio di uno stato d’animo.
Privato di orpelli, il soggetto si identifica con chiarezza. Alla fine dell’estate (2009) riemerge il sentimento malinconico, si insegue nel fluire della linea che incastona la natura tra il cielo glauco e le acque calme. Ma è sempre a mezza estate che fa capolino la figura umana (Sogno di una notte di mezza estate, 2009), riconoscibile e contenuta dal tratto nero, ma accordata nei toni alla notte. Non ha volto, trasfigura nella rievocazione sintetica di un sentimento che si colora ancora una volta di viola in Capricciosa (2009), scossa dal movimento insieme stizzito e sprezzante della chioma bionda. La tecnica si accorda con precisione alla scelta di non indugiare troppo sull’opera. Acrilico, perché l’artista raramente torna sul proprio lavoro. Esso nasce da un particolare momento, a quello si lega stimolando la pittrice nella costante ricerca di un proprio linguaggio, sempre diverso.
Raggiunto un linguaggio personale e unico Fabienne Di Girolamo incide lo spazio bidimensionale e indelebile nell’acrilico sottile e delicato di Angeli, Conchiglie e Gatti (2010), ma si accende di ardore nell’espressionismo de Il Bacio (2010), dove il sentimento e la passione prendono forma a scapito della figura, obbedendo ad un istinto romantico che accentua la propria espressione eludendo la realtà. Accanto ai colori accesi, alla demarcazione dello spazio, già si intuisce infatti qualcosa di Nouveau, di fitomorfo e mistico, destinato in seguito a volgere in puro decorativismo, sempre con assoluta padronanza della combinazione cromatica. Con un occhio alla tematica Liberty, l’immagine tralascia il gravame plastico e, inseguendo la multiforme realtà della vita, diventa sinuoso riferimento alla fantasia di Antoni Guadì, decorativo come una vetrata, quasi nipponica preferenza per gli incastri di petali, foglie e fiori di Mucha. L’artista volge l’attenzione al gusto fin de siècle e, intrisa di romanticismo, resta fedele al proprio soggetto senza mai cedere troppo spazio all’astrazione. Nemmeno quando le forme si fanno semplici e geometriche, come nelle vetrate (2010-2013) – punto d’arrivo e principio della ricerca d’astrazione anche in grandi maestri, Hölzel su tutti- che sono la naturale evoluzione e conclusione di un percorso che include soggetto, linea e luce (Prima dell’estate, 2011). Così in Morfeo (2011) il colore si attenua, si accorda al tema, e la struttura semplifica se stessa riducendo il segno al necessario. Emerge l’inusuale grigio. Scelto per la figura umana in Sguardo d’amore (2011), il non-colore amplifica il sentimento evocato dallo sfondo curvilineo e dal formato circolare della tela. Già incontrato in Trulli (2010), il grigio trionfa in Madre Natura (2012), che trattiene pensosa e lieve i colori del cosmo.
Si intuisce un momento di riflessione. La tematica si affina, diviene Abbandono all’amor profano (2012), dove la linea liberty abbraccia e protegge gli amanti dall’avvampare della rossa passione. Il dipinto, eliminata la plasticità e la realtà, e svuotatosi del residuo, volge verso l’iconico, verso il risparmio nella costruzione dell’immagine che è abbrivio al tema importante. Il dato reale è stilizzato a favore del tema trascendente, avviandosi ad una terza e più recente fase, espressionista ed insieme decorativa.
Negli ultimi anni la ricerca ha limitato al solo acrilico la tecnica favorita, sovradimensionando la linea di contorno in negativo. Essa si espande, nera, ed inghiotte il tono, diventato tassello immobile di mosaico. Guadagnando spazio a scapito del colore, incastonato come una tessera, lo spesso tratto nero delimita la materia densa del pigmento. Con violenza fauve, conscia non a caso della potenza plastica della cromia, Le tre lune (2014) combinano ricerca del mezzo espressivo e percorso interiore (Le tre età della vita, Anima Mundi, 2014). Tradito dal titolo (Incanto in 4 stagioni, 2015) si svela il simbolo, testimone di una nuova soluzione a polittico, che sceglie il tema dell’albero, privilegiato anche da grandi maestri come esternazione del proprio essere e come tappa per l’elaborazione all’astrazione. Un soggetto, il bosco incantato, che svela l’intrinseca necessità di scovare un ritmo, un fluire regolare che è l’essenza della realtà colta dal viaggio all’interno del dipinto.
Dalle linee sottili degli esordi la ricerca giunge al dinamismo della curva, al cerchio, alla tematica astrale. Spiritualizzazione moderna, in Ave Maria (2014) le forme circolari contornano il volto benevolo, coniugando movimento e contrasto cromatico. Forme astrali ritornano in No time no space (2015) mostrando l’energia della rotazione, bloccata dall’azzeramento di spazio e tempo, nel tracciato colorato dei propri satelliti. Ricreando un piccolo mondo, l’artista introduce il movimento creativo che accomuna vita e pensiero, realtà ed opera d’arte. Sul binario di un percorso che incrocia e sfiora spiritualità e anelito universale si colloca lo zodiaco, declinato nei suoi dodici segni. La rappresentazione dei segni zodiacali vanta celebri precedenti e sin dal Medioevo essa fu concepita come uno dei criteri d’interpretazione della natura umana, del cosmo, del rapporto con Dio. Come il susseguirsi delle stagioni, essi scandivano il ritmo della natura e della vita, accordando il tempo dell’uomo a quello del cosmo. L’influsso da sempre attribuito a ciascun segno è compreso e riproposto nell’interpretazione pittorica datane da Fabienne. Sintetizzata nei minimi tratti di linea nera e dalle forme stilizzate, emerge la ricerca di identificazione, evocata dall’elemento multimaterico che ne correda la cornice. Ancora un bordo nero, a delimitare il gioioso primitivismo del figurativo, che sinuoso avvolge la personificazione ad occhi chiusi del simbolo, in anelli morbidi dalle tonalità ora calde, ora azzurre.
Si conclude, per ora, un percorso in laboriosa ascesa ed impegnativa ricerca di un’espressione personale, che spezzando le asprezze della realtà arrivi a trascenderla comprendendo l’intrinseca verità della pittura: la struttura è quella dell’immagine, la sua materia è il colore.
Dott.ssa Laura De Zuani – Storica dell’Arte. 8 maggio 2015.
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